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Antonino Clemenza ph

Nelle fotografie di Antonino Clemenza spesso ci sono le persone. Anche in questa sua ricerca sulla Street Art non vediamo soltanto le opere, i muri, gli artisti. Piuttosto vediamo la gente che passa, che guarda, che sta lì a dare il senso profondo a questa nuova arte: essere per tutti, alla portata di tutti. Siamo felici quindi di ospitare in un nostro spazio l’occhio di questo fotografo che riesce a farci vedere le cose attraverso un doppio sguardo – quello del fotografo e quello di chi è fotografato – che rapisce e emoziona.

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StreetArt

Problematico rimane il rapporto tra opera d’arte e le forme della loro ricezione.

Seppure un’opera d’arte non nasce in funzione del destinatario, essa comunque è movimento, apertura verso qualcuno, sollecita attenzione, pur sapendo che la risposta non è dovuta. L’appello rivolto al destinatario non è di natura oggettivamente normativo-morale, ma legato all’esperienza soggettiva dei sensi, essendo l’opera d’arte che si espone, secondo Deleuze e Guattari, un “essere sensibile”, «poiché l’uomo, preso nella pietra, sulla tela o lungo le parole, è esso stesso composto di percetti e affetti». Inoltre è opera del pensiero dell’artista che si espone attraverso colori, volumi, forme, suoni, gesti e movimenti.

La leggibilità dell’opera d’arte ha bisogno di una semiotica, non data, di un codice, che stabilisca un rapporto tra la traccia sensibile e il contenuto intelligibile che si esprime in essa, determinando incomprensione dell’opera perché il pensiero incorporato in essa non è articolato logicamente o concettualmente. Esponendosi, l’opera d’arte si rivolge ad un possibile destinatario, tuttavia non dispone in sé di alcun mezzo per forzare la sua attenzione o, addirittura, di forzarla attraverso la persuasione.

Uno dei rischi della street art è che punti alla “massa”, un’entità che non esiste, perché ad avere esistenza sono i  singoli individui, diversi tra loro e irriducibilmente unici.

Nonostante questo rischio, la street art, attraverso i diversi media utilizzati, comunica, veicola linguaggi, favorisce la possibilità di trasmettere le esperienze estetiche ad un pubblico largo.

Si tratta di un’arte implicata nella vita quotidiana, che si inserisce nello spazio pubblico, trasformandolo.

Non si accontenta di rappresentare, ma l’opera dello street artist è un’arte-azione, parola performativa, molto vicina alla performance, il cui fine è l’operare più che di mostrare: agisce e sollecita la partecipazione attiva degli spettatori-attori.

Come disse un precursore della funzione politica della street art, Keith Haring, «Non penso che l’arte sia propaganda; dovrebbe invece essere qualcosa che libera l’anima, favorisce l’immaginazione ed incoraggia la gente ad andare avanti. Piuttosto che manipolarla, l’arte celebra l’umanità».

Dipingere per strada è un atto forte, politico, di appropriazione e trasformazione del territorio, tanto da dare fastidio, come è avvenuto recentemente a Roma nel quartiere Quadraro contro i promotori del progetto di street art M.U.Ro.

Quello che rende politica e antagonista la street art è il rapporto che si crea tra le sue forme e la comunicazione urbana, infatti funziona come un apparato figurativo che dialoga, a volte in accordo altre volte in conflitto, in maniera strettissima con i cosiddetti elementi primari di significazione del testo urbano (strade, piazze, edifici, spazi, volumetrie) a cui si sovrappone. Essa contribuisce a ridefinire l’identità, per riqualificarlo, di un determinato tessuto urbano, identità costituita dall’accumulo e la stratificazione dei segni umani. #iostoconMURO Antonino Clemenza ph